che non sia l'epoca
della fondazione di Roma, scelta a ciò dalla maggior parte degli
storici moderni. E tanto piú che gli antichi diedero a Camillo, il
gran motore di quell'impresa, il nome di «secondo fondatore di Roma»,
e che antichi e moderni concordano a dire incerta e poco men che
favolosa o poetica tutta la storia romana precedente la guerra de'
galli.
2. Mezzi; costituzione e mutazioni.--Camillo e Roma furono poi
ammirabili dopo la prima vittoria; si apparecchiarono a proseguirla
colle mutazioni interne opportune; innalzarono se stessi alla
cresciuta fortuna; non si arrestarono nella virtú; la passata fu ad
essi non piú che principio della avvenire.--La costituzione era questa
allora. Un senato di patrizi ereditari, ma che ammettevano nel loro
seno ogni popolano fatto grande nella patria; un popolo che s'adunava
al fòro in varie forme, le une piú, le altre meno soggette alla
influenza dei patroni su' clienti, dei patrizi su' popolani; ondeché
lo stabilire e l'usar l'una o l'altra forma fu soggetto di dispute
grandi e frequenti colá, come furono e saran sempre le leggi
d'elezioni ne' popoli moderni di governo rappresentativo. Il popolo
eleggeva i magistrati: due consoli annui, poco men che principi in
cittá e all'esercito; pretori, loro aiuti dentro e fuori; e poi edili,
tribuni ed altri uffiziali minori. All'infuori di questa gerarchia, i
censori, che facevano ogni quinquennio il censo o statistica, e
n'aveano grande autoritá mutando di grado e di condizione i cittadini,
e sindacando, o, come fu detto, censurando i costumi; il dittatore,
magistrato straordinario ed assoluto eletto nelle occasioni di gravi
pericoli militari o civili: il pontefice massimo e molti minori; oltre
i tribuni della plebe, difensori allora, estenditori poi de' diritti
popolani.--Le elezioni a tutti questi carichi erano state
originariamente fatte dal popolo, ma tra' patrizi. Ora, appunto ne'
primi anni della impresa nazionale contro ai galli, i patrizi
accomunarono que' carichi a' plebei; ed accomunaron le nozze; grandi
arti (male imitate ai tempi nostri) ad accomunare gli animi, e farsi
forti tutti insieme contro allo straniero. E giá dal tempo
dell'assedio di Veio erasi compiuta un'altra mutazione; quella della
milizia annuale in stanziale e perciò pagata. E questa pure fu
mutazione grande e feconda di conseguenze. La legione romana, forte
allora d'un cinque o seimila uomini, e formata di fanti gravi e
leggeri e di cavalli, era senza dubbio una bella unitá militare. Ma
forse nemmen questa fu esclusivamente de' romani; ed all'incontro tal
fu allora la milizia stanziale. Cosí si maturò la costituzione civile
e militare, ad uso delle esterne conquiste.
3. Un secolo di guerre ed estensioni circonvicine [390-290].--Le quali
furono proseguite meravigliosamente dalla rinnovata Roma fin dal primo
secolo. Coi galli ella non s'alleò mai contro ad altri popoli
nazionali come facevan questi tra lor gare domestiche. Poche paci od
anzi tregue, guerre quasi continue.--Con gli etrusci all'incontro, ora
guerre, ma ora alleanze; e per mezzo dell'une e dell'altre, sempre
estensioni in quell'Etruria oramai decadente a precipizio. Cosí con
gli altri popoli via via incontrati nell'estendersi, umbri, campani,
sanniti, lucani, apuli. I sanniti furon l'osso piú duro a frangere;
con essi durò la guerra oltre a cinquant'anni [343-290]. Una volta
[321] parve perduta; quando un esercito romano sconfitto alle Forche
caudine passò sotto il giogo. Ma perdurando, Roma vinse finalmente; e
il Sannio vinto, lasciò tutta la penisola meridionale (salvi i greci),
l'Italia d'allora, soggetta, o piuttosto aggiunta a Roma per l'imprese
ulteriori. Perciocché il dominio romano in quest'Italia non fu da
signore a servi, ma poco piú che da capo a membri di confederazione.
Nella quale poi erano gradi diversi d'unione, procedenti per certo da
diversi gradi di parentela della gente romana colle circonvicine:
alcune furono fatte partecipi di tutti i diritti romani, salvo quello
di voto in fòro; e furono perciò dette «_municipia_». Le antiche
latine s'eran date a patti simili all'incirca, e il lor complesso fu
quello detto «_ius Latii_». E il _ius italicum_ piú lato in
territorio, piú ristretto in privilegi che non il _ius latinum_, prova
che la gente italica comprendeva fra l'altre le latine, le quali
comprendevano fra l'altre Roma; e questa è tutta la spiegazione
dell'antica Italia. Le une e le altre eran _socii_; poche furono
ridotte a condizione di sudditi (_dedititii_). A queste sole si
mandavano magistrati romani (_praefecti_), e toglievasi parte delle
terre; donate poi alcune a cittadini romani rimanenti in Roma (che
vedremo occasioni di gran dissensioni), e alcune ad altri mandativi ad
abitare con nome di coloni, sfogo alla popolazione soverchia di Roma,
e posti avanzati a tenere i sudditi, ed anche gli alleati.
4. Guerra di Pirro [290-264].--Venivano intanto con gli altri cadendo
sotto a Roma anche i magno-greci. Ed era pure il tempo della maggior
potenza esterna di lor nazione; il tempo che gli Alessandriadi tenean
regni dall'Illirio all'Indo. Taranto assalita dai romani ricorse al
piú vicino di coloro; ad uno, se non de' piú potenti, certo de' piú
prodi e piú ambiziosi, a Pirro re dell'Epiro. Venne questi nel 280, e
vinse due volte a Pandosia e ad Ascoli; ma, perdurando al solito i
romani, ed attendendo egli meno a proseguir la guerra difficile che a
farsi un imperio facile, si distrasse in Sicilia. E sí tornonne; ma fu
sconfitto allora a Benevento e ripatriò in Epiro. E, caduta Taranto
nel 272, la potenza romana s'estese sui greci nell'ultima penisola.
5. Prima guerra punica [264-241].--Tra breve n'uscí per la prima volta
invadendo Sicilia, ed assalendovi Cartagine che signoreggiava i greci
signori degli antichi siculi. Cartagine, fondata parecchi secoli prima
di Roma, giá colonia de' fenici o _poeni_ di Sidone, giá regno, poi
repubblica indipendente, aveva estese le proprie colonie e il dominio
in tutta l'Africa occidentale, in Iberia, in Sicilia. Roma cittaduzza
latina avea sanciti trattati di navigazione con lei [508], Roma giá
potente gli avea rinnovati [345]. Ma ora Roma cresciuta in signoria ed
ambizione occupava Messina [264]. Cartagine nol patí, e la guerra
diventò terrestre insieme e marittima. I romani, con quella facilitá
che ebber sempre a mutar modi di guerra come di governo secondo le
occorrenze, a prendere ciò che paresse lor necessario da fuori come
d'addentro Italia, da' nemici come dagli amici, armaron flotte alla
cartaginese, diventaron potenza di mare, e vinsero due grandi vittorie
navali all'abordaggio, modo solito de' piú arditi e men periti in
quell'arte. Quindi passarono in Africa, per ferire, secondo loro uso,
il nemico al cuore. Ma furono vinti lá; e vi rimase prigione quel
Regolo, che, rimandato in patria per negoziare, si fece immortale
tornando a' ferri per morirvi, e cosí lasciar Roma libera nel suo
costume di perdurare finché vincesse. Ed ella vinse di nuovo in mare
ed in terra, e compiè la conquista di Sicilia; e allora fece pace,
escludendo la rivale dall'isola. La quale fu poi la prima che ella
governasse come vinta, a «provincia», cioè con un pretore che
signoreggiava cittá e principi governanti in apparenza.
6. Nuove estensioni [241-218].--Alle vittorie contro ai forti sogliono
succedere conquiste minori, vittorie contro ai deboli rimasti
indifesi. In una ventina d'anni, Roma aggiunse al suo giá lato e vario
impero, la Sardegna e la Corsica; guerreggiò e vinse nell'Illirio, e
cosí asserí sua potenza nell'Adriatico e s'appressò a Grecia; e,
spingendo contro ai galli la guerra allentata giá ne' pericoli,
pressata sempre ne' respiri, vinse presso a Chiusi, giunse al Po, ed
ivi piantò due colonie, Piacenza e Cremona.
7. Seconda guerra punica [218-201].--Ma intanto risorgeva Cartagine,
meno indebolita giá che non concitata dal risultato della prima
guerra. Annibale, capo in quella repubblica del partito della guerra,
capitano giá vittorioso in Ispagna, e giovenilmente fecondo di quelle
idee nuove ed ardite onde sorgono le guerre e i capitani immortali,
ideò venir di Spagna a Italia per terra, attraversando Gallia
transalpina, Alpi e Gallia cisalpina. Cosí fece. Gran disputa ne
rimane tra gli eruditi, dove ei varcasse l'Alpi. Dicesi al Monginevra
o al Piccolo o al Gran San Bernardo, passi i piú consueti
nell'antichitá. Ma se fosse disceso per passi noti, sarebbe stato
notato; e da niuno di questi detti (bensí dal Moncenisio e da molti
altri) si vedono que' nostri piani, che le tradizioni dicono mostrati
allora per la prima di tante volte dal duce agli invasori stranieri.
Ad ogni modo Annibale scese ne' taurini, vinse i romani, prima al
Ticino, poi alla Trebbia, poi al Trasimeno. Ma, o sbigottito, come
molti, anche grandi guerrieri (non Alessandro, Cesare e Napoleone),
dal pericolo d'occupar dopo una gran guerra una gran capitale, o
veramente impotente a ciò, girò intorno a Roma, prese Capua; ed ivi e
nella penisola meridionale comunicante con la patria, colla Sicilia e
con Filippo re di Macedonia nuovo alleato suo, stabilí, come or si
direbbe, una nuova base d'operazioni. Ma Roma perdurava negoziando in
Grecia, e guerreggiando in Italia, in Sicilia e in Ispagna stessa. E
qui fu vinta primamente sotto due Scipioni. Ma mandatovi il terzo,
Publio Cornelio che è il grande, ei vi restituí e in breve vi fece
soverchiar la potenza romana, e ridusse il paese a province; mentre
Asdrubale ne partiva per Italia, e qui poi era sconfitto e morto,
prima di raggiungere Annibale fratel suo. E allora Scipione fatto
consolo, negletta la guerra di Annibale in Italia, ne portò una nuova
in Africa; e con Massinissa alleato suo vinse due battaglie contra i
cartaginesi e Siface, ed una terza ed ultima poi a Zama contro
Annibale sforzato ad accorrervi. Quindi Cartagine domata dovette fare
meno una pace che non una capitolazione; fu multata, spoglia di sue
navi e suoi elefanti, ristretta all'Africa, ivi diminuita a pro di
Massinissa, ed impegnata a non guerreggiare se non consenziente Roma;
ridotta, in somma, a poco piú che provincia.
8. Dieci anni di estendimenti [200-190].--Di nuovo seguono conquiste
piú facili, ma pur grandissime. Si assale, si vince Filippo re di
Macedonia, a castigo dell'alleanza testé pattuita con Annibale; si
restituisce di nome la libertá a' greci, in fatto si fanno alleati
cioè seguaci di Roma. Poi, prendendone pretesto a liberar pure i greci
d'Asia minore, si passa in quella, e s'assale Antioco re di Siria; si
vince in due battaglie navali ed una terrestre presso a Magnesia; e,
fatta pace, si dividono le conquiste d'Asia tra gli alleati di Roma.
Intanto si perseguitano fin lá in Asia i nemici nazionali, i galli,
che v'aveano spinta una migrazione; si ferma alleanza cioè
preponderanza su Egitto; e si guerreggia e vince in Liguria e in
Ispagna. Cosí la guerra e la politica romana s'estesero dall'Atlantico
all'Eusino; e ciò in quarant'anni; comparabili, anzi (posciaché durò
l'effetto loro) superiori a' dieci da noi veduti dell'imperio di
Napoleone.
9. Séguito e conseguenze [190-150].--Ne' quaranta seguenti, si
continuò ed ordinò il principiato. Si contese di nuovo con Filippo, si
guerreggiò con Perseo successore di lui, ed ultimo re di Macedonia.
Perciocché, vincitore dapprima, vinto poi a Cidna, ei fu preso e
tratto in trionfo a Roma; e Macedonia ne rimase liberata, a modo di
Grecia, sotto l'alleanza romana. E si continuò a guerreggiare in
Ispagna, Liguria, Sardegna, Corsica, Istria ed Illirio; e si decideva
a Roma delle successioni de' regni di Siria e di Egitto.
10. Terza guerra punica, l'acaica, la spagnuola ed altre
[150-134].--Dopo tanto padroneggiare tutto intorno al Mediterraneo era
conseguente, inevitabile compier l'annientamento dell'antica rivale.
Fu meno una guerra, che non un disarmamento e una distruzione;
provocata da Catone e da quel suo continuo «_delenda Carthago_», che
sarebbe stato piú generoso se detto contro un nemico piú forte.
Scipione Emiliano condusse quest'ultima guerra punica, eseguí la
distruzione [146]. Né furono diverse l'ultima guerra greca, la
distruzione della lega achea e di Corinto. E, distrutti cosí in un
anno i due maggiori centri commerciali del Mediterraneo, la
preponderanza marittima di Roma diventò signoria unica, e il
Mediterraneo lago italiano. Rimaneva, quasi sola grave, quella guerra
di Spagna, che s'era fatta tanto piú accanita dopo che, cacciati i
cartaginesi, rimanevano gli spagnuoli soli a difendere la propria
indipendenza. Allora furono que' magnifici esempi (cosí ben imitati lá
al nostro secolo) di Viriate, un «guerrigliero», che non cessò se non
quando fatto uccidere a tradimento; e di Numanzia, una cittá, che non
s'arrese se non quando distrutta. Finalmente, dopo sessanta e piú
anni, soggiacque